venerdì 10 novembre 2017

La fine del mondo arcaico


Quando finì il mondo arcaico? Vi sono molte testimonianze di questo sconvolgente mutamento.
Verso il 60 d.C., Plutarco, autentico spirito pagano, si domandava perché "gli oracoli avessero cessato di dare responsi", e appunto in questa occasione raccontò la storia della voce sorta dal mare che annuncia al pilota egizio: "Il grande Pan è morto".
Doveva trattarsi della fine di un'altra età del mondo, assieme a tutti gli dèi che le appartenevano.
Per i tradizionalisti era un ulteriore segno della fine dell'Età dell'Ariete e dell'avvento dell'Età dei Pesci.
Ciò è noto, storicamente, come l'avvento della rivoluzione cristiana, contrassegnata in così tanti modi dal segno del Pesce; esso potrebbe essersi verificato con l'Editto di Teodosio del 390 d.C.
Era destinato a essere un mutamento così profondo che Plutarco ne sarebbe rimasto sbigottito.
Era la fine delle Parche, le dee che incarnano il Fato.
Il canto di Lachesi era stato messo a tacere.
L'introduzione di nuove divinità dall'Oriente contribuì indubbiamente alla rapida conversione dell'élite romana e questo parve ai cristiani di per sé miracoloso.
Oracoli e presagi rientravano nel tessuto del Tempo circolare, con il loro ricorso al linguaggio sibillino che gettava continuamente un ponte, come un arcobaleno, dal passato verso il futuro.
La grande tela del tempo ciclico venne danneggiata irreparabilmente dalla dottrina dell'Incarnazione
La credenza nel Secondo Avvento, diffusa in ambiente cristiano, mantenne a lungo integro il tempo....
...La venuta sovramondana di Cristo nel mondo aveva spezzato il tempo in un Prima e in un Dopo assoluti, essa costituiva un evento unico e irripetibile...
Il periodo in cui la struttura temporale della realtà incominciò a essere percepita e descritta in termini di spazio tridimensionale...
Primo segno della Rivoluzione Scientifica coinciso con l'invenzione della prospettiva nel XV secolo.
Comunque sia è indubbio che alla fine del Rinascimento spazio e tempi erano diventati quello che intendiamo oggi noi.
Nella concezione di Newton, la struttura dell'universo era fatta di un tempo e di uno spazio assoluti.
Questa modalità di pensiero diventò naturale e fu solo con Einstein che sorsero nuove e più profonde difficoltà a ostacolare l'immaginazione.
Aristarco, Giordano Bruno e Galileo ci appaiono non semplicemente come animosi teorici o ricercatori di regolarità, ma come spiriti dotati di un ardire sovrumano.
Aristarco rimase un solitario, trascurato nel suo stesso tempo anche da una mente sovrana come quella di Archimede.
20 secoli più tardi, Bruno, più che un pensatore, fu un profeta ispirato dall'infinitezza di Dio, identica all'Univetso stesso.
Galileo, scienziato autentico, rimase ancora abbastanza dominato dalla circolarità richiestagli dal suo cosmo, sicché non osò formulare quel principio di inerzia rettilinea che già era nella mente.
Egli rimase ostinatamente fedele al cosmo circolare: il cerchio era per lui una metafora dell'Essere.... la circolarità perfetta rimase per lui soprattutto una "forma simbolica" assai vicina alla Coppa dalle sette fasce di Jamshīd,....al Cromlech di Stonehenge.
La Scordatura del Mondo, la dissoluzione del Cosmo, sarebbe arrivata solo con Descartes.
Nell'universo arcaico tutte le cose erano segni e segnature l'una dell'altra, inscritte nell'ologramma, da divinarsi con sottigliezza e tale era anche la filosofia dei pitagorici.
Tratto da "Il mulino di Amleto" di de Santillana e von Dechend

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