lunedì 4 dicembre 2017

Le erbe e il linguaggio degli dèi


L'utilizzo di sostanze allucinogene è antico come il mondo, e sono poche le società e le religioni in cui non erano presenti.
Tra le più conosciute dobbiamo ricordare il fungo psylocide mexicana, il teonactl o carne di Dio connesso con gli Aztechi e i Maya, il peyote degli antichi Chichimecas, il cui uso rituale risale a parecchi secoli prima di Cristo, l'amanita muscaria dei popoli siberiani, l'ambrosia degli antichi Greci, l'ibogaina dei Pigmei africani, il soma degli Indù.
E ancora, lo yage chiamato anche aya huasca, una liana ben nota agli Inca è utilizzata ancora oggi dagli indios Zaparo, la cannabis dei Zoroastriani, l'ololiqui dei nativi amazzonici, le foglie di coca dei Quechua Aymarà  delle regioni andine e, infine, lo stramonio (datura stramonium), pianta già nota ai Greci, agli Arabi, alle popolazioni sudamericane e a quelle dell'India.
A nostro avviso, tali sostanze, oltre a procurare uno stato di alterazione della coscienza in favore del subconscio, cioè la parte più nascosta, venivano utilizzate con lo scopo di ricreare nell'essere umano sia la struttura psichica sia le vibrazioni emesse dalle onde cerebrali appartenenti a esseri superiori.
In tal modo era possibile esplorare le dimensioni in cui questi esseri risiedevano.
Il costante uso degli oppiacei è testimoniato nei culti tribali e gentilizi, in diverse aree dell'Asia Minore e della Grecia.
Non a caso, nella mitologia ellenica il dio del sonno, Morfeo, veniva rappresentato con i fiori di papavero in mano.
Anche nell'Odissea omerica ritroviamo chiari riferimenti all'oppio, sotto forma di pharmakon nepentes, una misteriosa sostanza che dissolve la collera e allontana la tristezza da cuore producendo l'oblio.
Le preziose qualità del succo di papavero e i suoi effetti curativi erano ampiamente utilizzati anche a scopo terapeutico.
Lo testimoniano Erodoto, Erasistrato e Aristotele.
Tratto da "Enigmi, misteri e leggende di ogni tempo" di Stefano Mayorca

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